Home

il METEO

La vera leggenda della Valle del Boja e perché si chiama così

VistaValleMaranaForse ormai nessuno, a parte l’autore che ha frequentato quei luoghi da sempre con suo padre che gli faceva da Cicerone, sa del perché è nata questa leggenda. Molti hanno fatto i saputelli sulla storia, ma qual è la vera origine del nome? Il nome non è nient’altro che la trasposizione che i vecchi hanno dato a questo luogo derivata del fatto che una parete, lungo il sentiero che porta al ‘Cason dei vecia’ è macchiata di rosso. In primavera, quando il disgelo è ormai avanzato ed un fiume di rivoli d’acqua innonda la vallata dai boschi sovrastanti, percorrendo il sentiero Braggion, poco sopra la prima cascatella (ce ne sono tre), a metà del ripido sentiero che porta al sommitale dove si può riprendere un po’ di fiato, si può vedere questa parete all’apparenza bagnata di sangue. E’ solo una illusione ottica, dovuta al fatto che in quel punto l’acqua, scendendo, deposita il ferro, che trasporta con sé dalle viscere della terra, sulla pietra dando così la sensazione di una cascata di sangue. Nell’immaginario dei nostri vecchi questo era dovuto al fatto che era stato versato talmente tanto sangue che ora, per ricordare lo scempio, questo continuava a sgorgare dal terreno. Da qui è nata poi la leggenda della Val del Boja.

In passato si sono formulate varie ipotesi circa la storia, la vita e la tragica fine del misterioso "Boia" vissuto nella valle e dal quale essa avrebbe assunto il nome, ma la leggenda oggi maggiormente conosciuta e diffusa è la seguente:

A un centinaio di metri dalla chiesa di Campotamaso, verso ovest, prima di imboccare il "ponte austriaco" si può notare una stradina scendere rapida per qualche metro e costeggiare un torentello. Già dopo le prime cascatelle del piccolo corso d'acqua ci si trova circondati da ripidi boschi e dirupi. Subito si avverte la gradevole sensazione di essere immersi nel bel mezzo della Valle del Boia. Questo luogo prese il nome da un oscuro personaggio e da un tragico avvenimento che si dice sia accaduto fra questi boschi e il torrente che ne lambisce i piedi.

Poco discosta dal rivo d'acqua viveva una famigliola composta da marito, moglie e un bambino di nome Mattia, più familiarmente chiamato Mat. La madre un giorno si ammalò. Denaro per curarla non ce n'era, medicine neppure. Si cercò rimedio con delle erbe medicamentose, ma purtroppo la febbre non accennava a diminuire.

Il povero uomo non sapeva più cosa fare. Poco conosceva le persone delle contrade vicine in quanto foresto. In una notte, divorata dalla febbre e in balia del delirio, la donna spirò tra le braccia del marito con accanto il bimbo che piangeva. Il pover'uomo dopo la disgrazia si diede un gran da fare per assicurare a sé e a suo figlio un minimo di sostentamento. Si dice fosse molto bravo nella lavorazione del legno. La gente partiva anche da lontano per acquistare i suoi utensili da lavoro e per al casa. Egli era assai poco esigente e in cambio chiedeva dell'altra merce. Qualcuno disse esercitasse una qualche attività mineraria. E poi tagliava la legna dei boschi che all'epoca erano molto folti. Allevava qualche pecora e qualche capra e altri animali da cortile. Si diceva fosse un uomo fortissimo, instancabile; rude e con una barba incolta. Forse buono in fondo all'animo, ma incomunicabile. I bambini delle contrade lo evitavano.

L'unica consolazione rimastagli era il ragazzo, che ormai si stava facendo uomo. Timoroso di perderlo cercava di tenerlo il più possibile lontano dalle case, dai paesi, dalla gente. Come e forse più del padre il giovane aveva difficoltà nel comunicare a causa proprio di tale isolamento. Si dice che questi individui si intendevano maggiormente con la gente dei monti. Ma un po’ alla volta il figlio, contro il volere del padre, incominciò ad allontanarsi dai luoghi abituali girovagando, per quanto gli era possibile, alla ricerca di comunicazione con altri suoi simili. Una sera, tornato a casa dopo esser stato lontano tutto il giorno trovò il padre in preda all'ira. Il genitore gli chiese di rendergli conto di quella prolungata assenza. Il giovane racconto di essersi recato lontano, e do aver visto prima il Castello e poi Castelvecchio. Da quelle alture aveva potuto osservare vallate, torrenti e pianure e aggiunse: "Sapessi quanto è grande il mondo!". Per tutta risposta il vecchio scaricò la sua ira picchiando il figlio. Era ossessionato all'idea di perderlo. Tuttavia da quel giorno decise di portarselo assieme nelle poche occasioni in cui si doveva recare a valle per vendere e acquistare il necessario alla famiglia.

Quando Mat compì 18 anni, il padre decise di mandare lui in pianura per vendere la mercanzia da loro prodotta. Il figlio ascoltò le raccomandazioni e i suggerimenti del genitore, poi s'incamminò soddisfatto con il suo fardello sulle spalle. All'imbrunire non vedendolo arrivare, il vecchio incominciò a preoccuparsi. Quando fu calata la sera, era al colmo dell'agitazione e dell'ira. Quando sarebbe tornato gliel'avrebbe fatta pagare cara. Durante la notte la rabbia sbollì e si fece posto la preoccupazione. Forse poteva essere successo qualche cosa di grave a Mat. E se avesse trovato una tezza o un fienile ad ospitarlo durante la notte ? Pensava, aveva fatto tardi perché aveva voluto vendere tutto, forse aveva fatto affari nella speranza che il padre fosse stato fiero di lui. Tra ansie, preoccupazioni e simili pensieri, il vecchio trascorse la notte. All'alba come sempre era già al lavoro, ma il pensiero rimaneva costantemente rivolto a Mat. A mezzogiorno rinchiusi tutti gli animali nella stalla partì. Non poteva più aspettare. Doveva trovare suo figlio. Vagò a lungo chiedendo notizie ovunque di Mat. Qualcuno disse di averlo visto e qualche altro aggiunse che aveva venduto tutto. Dopo qualche giorno di inutili ricerche, il vecchio perse tutte le speranze di ritrovarlo. S'incamminò verso la sua valle; era sporco, stanco, aveva la barba lunga e gli occhi allucinati dalla disperazione. Una prima nebbia di pazzia stava avvolgendo il cervello. In quel suo sofferto ritorno, dopo aver oltrepassato alcune case, scorse, poco oltre un piccolo capitello, un cumulo di sassi e sopra di esso una rustica croce, senza alcuna scritta. Vicino a una vecchietta che biascicava qualche preghiera, giocavano alcuni bambini. Il vecchio con un filo di voce chiese qualcosa alla donna, la vecchietta raccontò che da qualche giorno lì sotto era sepolto un bel giovane della apparente età di 20 anni, aveva capelli lunghi, occhi azzurri ma un po’ mal vestito. Era stato assalito da alcuni briganti che volevano derubarlo, ma poiché non riuscivano a toglierli il denaro, lo avevano colpito ripetutamente con un bastone. Abbandonatolo esanime a terra, erano fuggiti con i soldi. Il vecchio ebbe un sussulto, fece qualche altra domanda sull'aspetto fisico del ragazzo ucciso, poi fu sicuro……

Emise un urlo disumano così forte da far rimbombare i monti.

Accanto a un casolare tra un mucchio di legna, scorse una scure. La pazzia lo stava divorando. Raccolse l'utensile e incominciò a vibrare colpi forsennati a quanti incontrava lungo il suo cammino. Quel giorno seminò morte. Poi si ritirò nella sua valle, dove continuò ad ammazzare quanti incautamente lo avvicinavano.

Durante una notte di lampi e di tuoni, tra urla che facevano eco in tutta la valle, il disgraziato esanime invocando per l'ultima volta il nome del suo Mat.

Un’aggiunta a questa leggenda, raccontatami da mio padre, era che il boia utilizzava come base per la sua vendetta un sasso dove faceva appoggiare la testa ai malcapitati e con un colpo d’ascia gliela mozzava. Tanta fu la strage perpetrata che la roccia rimase rossa, intrisa dal sangue delle vittime. E ancora oggi, se si sa dove guardare, si può ritrovare il sasso destinato a ceppo.

linea

Designed by Giannino Bertò - Versione 6.0 - Febbraio 2013 - Prima stesura; Agosto 1998

Il materiale pubblicato in questo sito è “proprietà intellettuale” dell’autore o delle fonti ciatte e pertanto è possibile la sua duplicazione e/o pubblicazione solamente se accompagnata dal riferimento della sua provenienza e dell’autore del/dei brani.

linea

Campotamaso, comune di Valdagno in provincia di Vicenza. é nella Valle dell’Agno, confina a est con la Valle del Chiampo e a nord oves con la valle del Leogra e con Schio. Dal monte Turigi che lo sovrasta è possibile scorgere lAltopiano di Asiag, Il Pasubio, le Piccole Dolomiti, Marana e MonteFalcone. Il sentiero Braggion è una delle escursioni èiù belle che ci sono nella vallata, dove è possibile percorrere la Valle del Boia, da dove inizia, fino a Turiggi. Le sue tradizioni come le calcare, la Stria, le anguane, i salbanei e racconti antichi ne fanno un piccolo gioiello della Valle dell’Agno..