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il METEO

I uvi de Pasqua (ricordi personali dell’autore)

Uova colorate di PasquaUna volta, quando ero bambino, le uova di Pasqua erano un rito. Il tutto iniziava la settimana che precedeva la domenica delle Palme, quando si preparavano dei rami di ulivo tutti bardati con fiori di carta colorata e noi bambini li portavamo alla “Mésa grande”, la messa domenicale delle 10, per essere benedetti sul piazzale antistante la chiesa. Era sicuramente una tradizione bellissima, anche se non ho trovato fotografie di supporto al riguardo. Tutto il paese era un brulicare di fuscelli che venivano tenuti alti e si faceva a gara a chi “gaveva la palma mejo de tuti”.

Quasi sempre quei fiori non finivano nel cestino, ma venivano utilizzati per uno scopo ben più nobile: colorare le uova pasquali.

Durante la settimana antecedente la Pasqua c’era un gran d’affare da parte di tutte le famiglie di Campotamaso nel cercare di accaparrarsi qualche uovo dai contadini. Le galline erano chiamate a fare gli straordinari. Allora, a parte la “Coperativa” e il negozio del panettiere “Giulio” Bertoldi, non c’erano altri punti in cui acquistare qualche cosa. Le uova di gallina non si trovavano certamente qui. Non c’erano tante leggi e leggine che ne impedivano il commercio. Gli unici dolci che venivano ricercati, in quegli anni, erano le “fuasse” e proprio Giulio fornaro ne era un maestro. Venivano ordinate due o tre settimane prima; qualche famiglia ne faceva fare decine che poi conservava per mangiarle nel tempo, visto che non avevano scadenza. Ma torniamo alle nostre uova. Dal giovedì santo in poi quelle due o tre uova giornaliere disponibili venivano fatte sodare e, sfruttando la carta dei fiori tolti dalle palme, ne veniva colorato il guscio e riposte in un cesto.

Il giorno di Pasqua era festa grande e venivano consumate in religioso raccoglimento le uova colorate, ma non tutte.
Qualcuna veniva conservato per il giorno dopo, la “Pasqueta”, sicuramente molto sentita da noi bambini. Pasqua era per i grandi, si dovevano sopportare quei lunghi momenti passati a tavola e rimaneva poco tempo per il gioco. Non c’era ancora l’ora legale e le giornate erano ancora abbastanza brevi. Il tempo non era mite come ai giorni nostri ed inoltrarsi all’aperto nel tardo pomeriggio era un azzardo. Ecco perché Pasquetta rappresentava per noi una grande opportunità. Tempo a volontà per giocare nell’attesa del pomeriggio.

Tempo permettendo, subito dopo pranzo tutta la famiglia, unita, raccoglieva quel che rimaneva delle uova colorate e ci si avviava verso la  “Crose”, sulla sommità dell’altura che si erge nella contrada Fincara. La croce allora era di legno, molto grande e sicuramente vecchissima con sulla cima il parafulmine per evitare che le site (i fulmini) si abbattessero sulle case del paese. Anche se oggi, nel percorrere il tragitto che parte dalla chiesa, lo si fa in circa dieci minuti a passo normale, allora mi sembrava un viaggio eterno, lunghissimo. Mi ricordo le chiacchiere dei paesani che si soffermavano a contemplare i risultati degli orti. C’erano i “cavoli de Melio Ciampera che i xe sa prunti”, che facevano bella mostra di sé proprio nella curva secca al confluire del viottolo che porta alle cocche e la strada che va ai Fincara.

Si arrivava finalmente nello spiazzo antistante la croce. Ci si sedeva per terra e si sbucciavano le uova. Noi bambini cominciavamo a rincorrerci forsennati, a giocare e a nasconderci nei boschi sottostanti, mentre la gente approfittava di quel momento di aggregazione per fare salotto (come si dice oggi) o più sobriamente nel nostro dialetto “par far quatro ciacole”.

Questa era la nostra vera grande comunità. Aggregazione di tutti nel nome di una fede che allora era genuina, priva di ogni doppio senso e soprattutto di ogni sterile polemica su ciò che è sacro e ciò che è profano. Si pregava Dio e basta. E al pomeriggio inoltrato, tutti a casa, a prepararsi per un altro duro anno di lavoro.

Tutto quello che avveniva dopo è un’altra storia, che varrebbe la pena di raccontare giorno per giorno, scandita dal trascorrere del tempo. E forse un giorno, coadiuvato da molti che avranno altre mille storie da raccontare, avrò il tempo per recuperare e raccontare delle nostre radici.

Ci resta solo un senso di grande rimpianto. Un momento di “soul” come direbbero gli afroamericani”, di “Nòstalghia” come direbbero i nostri amici dell’est. Non è la nostalgia definita nel vocabolario italiano, è un senso più profondo, una cosa che ti fa “intorcolare” le viscere, è un misto fra corpo e anima quando si fondono assieme e ti elevano al di sopra di ogni cosa.

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Designed by Giannino Bertò - Versione 6.0 - Febbraio 2013 - Prima stesura; Agosto 1998

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Campotamaso, comune di Valdagno in provincia di Vicenza. é nella Valle dell’Agno, confina a est con la Valle del Chiampo e a nord oves con la valle del Leogra e con Schio. Dal monte Turigi che lo sovrasta è possibile scorgere lAltopiano di Asiag, Il Pasubio, le Piccole Dolomiti, Marana e MonteFalcone. Il sentiero Braggion è una delle escursioni èiù belle che ci sono nella vallata, dove è possibile percorrere la Valle del Boia, da dove inizia, fino a Turiggi. Le sue tradizioni come le calcare, la Stria, le anguane, i salbanei e racconti antichi ne fanno un piccolo gioiello della Valle dell’Agno..