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il METEO

Le nostre tradizioni

Fora febraro
La barca de San Piero e Paolo
El tabaco da présa
El filò

Alcune nostre tradizioni arrivano da molto lontano e spesso si mischiano con altri riti pagani che i nostri padri, i cimbri, si sono portati appresso quando hanno deciso di emigrare in cerca di luoghi più ameni. Riti propiziatori, usi e costumi che su, al nord, avevano un significato reale di sopravvivenza, si sono adeguati per convivere con i popoli con i quali venivano a contatto.

Fóra febraro - in concomitanza con la fine di febbraio

Fine FebbraioFine Febbraio” (versione dell’autore, non storica) è una tradizione dei popoli Cimbri, importata nell’alto Vicentino agli albori della civiltà (circa 5000 anni fa), quando alcune tribù si stabilirono presso gli altopiani di Rovegliana (località situata sulle alture che circondano l’attuale Recoaro Terme). Questa festa era il richiamo al cambio della stagione (conosciuta anche come la Chiamata di Marzo che, nell’epoca attuale, si svolge in altra data, coincidente con la fine del carnevale) ed aveva lo scopo di annunciare alle popolazioni la fine dal letargo invernale ed invitarle ad apprestarsi ai lavori di vita quotidiana all’aperto. Era la “chiamata della primavera”, con carri allegorici, canti propiziatori ed anche un momento scanzonato per la “chiamata dei nuovi amori”, quasi a risvegliare l’assopito desiderio della natura alla “rigenerazione”, al perpetuarsi della vita, alla procreazione. Ancora oggi, alla fine di febbraio, nelle nostre vallate, non è raro il caso di venire “ridestati” al suono di botti (fatti con il carburo o altre sostanze deflagranti); a seguire una serie di canti scanzonatori e propiziatori. Ecco allora che alla frase intonatrice di ogni versetto “fora febraro che marzo l’è coà”, ogni partecipante dà il proprio contributo alla conoscenza dei fatti altrui gridati ai quattro venti. Si inizia quasi sempre con la sfilata delle “morosate” assurde o presunte, il gridare i nuovi amori sbocciati durante l’inverno. “chi xé par moroso ...” a cui segue il nome e di seguito “...che l’è on bel toso ... Chi ga par morosa ...” e altro nome questa volta femminile “... che xè na bea tosa” e via di questo passo, finchè non si sono esaurite le liste dei nuovi fidanzati. Tocca poi alle beghe paesane, alle novità, e, ducis in fundo, la richiesta al dio tempo di far ritornare la primavera. “Fora febraro che marzo xé coà . . Se nol xé smarso ‘l se smarsirà”. Queste ed altre piccole tradizioni, che ancora vivono sui nostri monti, assieme agli echi delle grida dei ragazzi che rimbalzano da monte a monte, sono l’eterna mia nostalgia, la voglia di ritornare a “vivere” all’aperto, pronti ad iniziare una nuova stagione e di perpetuare quel grande gioco che la natura ci ha chiamato ad interpretare.

La barca de San Piero e Paolo

BarcaLa notte precedente la festa dei SS. Pietro e Paolo (29 giugno) era abitudine fare la “barca de S. Piero”. La mamma, la nonna o qualche altro esponente della famiglia prendevano un bottiglione o una caraffa di vetro (purchè avesse il beccuccio stretto, per via del crescere della barca), la riempivano d’acqua e vi aggiungevano un albume d’uovo. Il recipiente veniva posto all’esterno, sempre riparato (un’aiola, un luogo recintato, ecc.). Durante la notte l’albume fermentava e creava nell’acqua una serie di filamenti sospesi legati fra di loro, creando delle straordinarie figure che, alla fantasia dei bambini, corrispondevano a delle superbe barche a vela che, si diceva era la barca di S. Pietro che utuilizzava nei suoi viaggi nell’universo.

Il tabacco da presa

tratto dal libro “Civiltà popolare della Valle dell’Agno” anno 1990

TabaccoQualcuno cercava di produrre da sè la materia prima coltivando il tabacco in luoghi lontani da ogni vista. Ma c'era sempre il rischio che le finanse (le guardie di finanza) scoprissero le piante, e allora erano guai. Si preferiva per questo fare arrivare le fogliedi tabacco da altre zone. C' è ancora chi ricorda un noto contrabbandiere di Malo, Marchioro, che le procurava. Il tabacco arrivava in foglie arrotolate, già asciutte, ma non secche a sufficienza, per cui occorreva provvedere alla loro essiccazione servendosi del forno per fare il pane. Come si faceva per cuocere il pane, dopo che si era riscaldato il forno bruciandovi della legna, si erano estratte le braci e si era pulito bene con degli stracci il piano di base, si infornavano le foglie e vi si lasciavano fino a che non fossero completamente essiccate. Solo così esse potevano essere pestate bene in una apposita pila e ridotte in una sottilissima polvere. Qualche anziano ricorda ancora che: "Da soto el sengio vegneva un rumore come de recùbele: i jera quei che pestava el tabaco (e ne diceva i nomi). Ma ogni tanto le finanse le vegnea a tore qualchedùn e le lo portava in prason co le man ligà". Ma nell'alta Valle del Boia per ridurre in polvere il tabacco si usava anche il mulino che là esisteva. Sempre gli anziani, viventi fino a poco tempo fa, ricordano che qualche notte il mulino girava per macinare tabacco. Per fare questo occorreva innanzitutto pulire bene le macine dalla farina, poi vi si macinava della semola per togliere gli ultimi residui di farina, e solo dopo queste operazioni si macinava il tabacco. Quando si era terminato di macinare il tabacco, si tornava di nuovo a macinare parecchia semola perché non restassero dei frammenti di foglie sulle pietre e per togliere l'odore residuo. Per effettuare questo tipo di macina giungevano a quel mulino persone da Valdagno, da Marana e da altri paesi.

El filò

tratto dal libro “Civiltà popolare della Valle dell’Agno” anno 1990

El FilòIl filò aveva una sua precisa fisionomia, e una importanza anche economica. Mentre le vache rumegava i canari nela grìpia, le donne si dedicavano a filare e a rammendare, i ragazzi giocavano a passatempi vari; gli uomini erano occupati a riparare le arte (gli arnesi da lavoro ), a far so le stròpe per legare viti o fascine, apelar frascari, a costruire ceste, ad impajàr careghe, o trascorrevano il tempo fumando una tirà de tabaco.
Ma il momento magico del filò scaturiva dai racconti delle favole, come quelle delle anguane, del salbanèlo vestio de rosso, degli spìriti, del giànfarne, del barbadane, della pèca de l'òrco, del slapasuche, del mago Furiàn, del prète de Sprèa. Allora il filò diventava una specie di teatro della stalla.
I vecchi raccontavano; parlavano di tutti gli argomenti, e in special modo evocavano i ricordi di guerra. Così il filò i trasformava in una scuola senza banchi, dove i giovani apprendevano dagli anziani il modo di pensare e di comportarsi
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Campotamaso, comune di Valdagno in provincia di Vicenza. é nella Valle dell’Agno, confina a est con la Valle del Chiampo e a nord oves con la valle del Leogra e con Schio. Dal monte Turigi che lo sovrasta è possibile scorgere lAltopiano di Asiag, Il Pasubio, le Piccole Dolomiti, Marana e MonteFalcone. Il sentiero Braggion è una delle escursioni èiù belle che ci sono nella vallata, dove è possibile percorrere la Valle del Boia, da dove inizia, fino a Turiggi. Le sue tradizioni come le calcare, la Stria, le anguane, i salbanei e racconti antichi ne fanno un piccolo gioiello della Valle dell’Agno..